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Critica d'arte Antoniazza


ANTONIAZZA
 ART & POETRY

La preghiera di un pennello

Critica d’arte alle opere prime di Francesca Nave

 

Ci sono percorsi nella vita che sono del tutto inaspettati, spesso neanche la persona più sensibile al proprio mondo interiore riesce a percepire un brivido, un semplice soffio del proprio destino.
Si vive, nella maggior parte dei casi, di situazioni che non ci portano a niente, se non a soffrire o ad imboccare la strada sbagliata, presi da un entusiasmo che spesso si svuota della sua sognata eternità per morire in un ricordo da dimenticare.
In pochi casi, forse rarissimi, la scoperta di un talento nella propria vita ha il sapore di un miracolo del quotidiano, un annuncio di Verità, che risveglia il grande patrimonio del cuore e del cervello per aprirci alla dimensione della creatività, quella più cara a chi come me ama guardare, scrivere delle cose che guarda per farle rivivere nel suo intimo come una parola che non smette mai di suonare.
È quello che mi è esattamente successo osservando da lontano questi piccoli capolavori d’esordio di Francesca Nave, giovane, esordiente ma che ha il sapore di qualcosa che dentro di lei stava già scritto, doveva accadere, non poteva non succedere: l’incontro con la tela, la tela prima di tutto come dimensione fisica, carnale, profondamente atomica, il foglio d’artista che commuove più quando si sporca che quando si lascia bianco ad aspettare quel piccolo intervento chirurgico che prende il nome di pittura.
Per un tradizionalista come me, che ama il contemporaneo ma che in genere rifiuta gli artisti improvvisati, quello della Nave, vista l’età, la brevissima esposizione alla magia del pennello, sa di miracolosamente insolito, non banale, controcorrente. Mi conferma come, anche chi incomincia per caso, senza destinazioni di lungo termine, possa incontrare, magari non da bambina o da adolescente, ma da giovane adulta, l’amore verso quell’arte che richiede la dedizione certosina di un curatore di vecchi libri. 
La Nave dimostra in queste tele, oltre che una non scontata conoscenza della tecnica, un profondità che deve con tutto il cuore difendere dai grandi accadimenti della vita. 
È come se nascondesse, dentro questi volti, così diversi, così inconciliabili, quel grande esercizio dell’inizio, della scoperta, del nuovo, che capita una sola volta nella propria vita per non ripetersi mai più, se non nei momenti di sofferenza o di preghiera.
Questa pittura che ha il retrogusto di una fotografia volutamente sfuocata, è il segno più evidente di questa scoperta, che non è per la Nave un passaggio artistico, bensì esistenziale, di quell’Arte che entra nella vita, come penso, per rimanere a lungo, senza abbandonarla mai.
E allora la spiritualità, le mani congiunte nell’intento più antico del mondo, l’abbandono mistico a Dio, diventano la cifra di un contenuto che per la Nave sono motivo di congiunzione, incontro, umanazione, oserei dire, di quell’evento del cuore che succede solo a chi ha una grande Grazia dentro di sé.

 

Andrea Antoniazza

Roma, 2/9/2008

 

 

 
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